Un fenomeno in crescita che scuote scuole e comunità. Sempre più giovani scelgono la forza fisica per risolvere conflitti, e in certi casi, non si fermano finché non vedono il sangue. Perché succede? E come possiamo fermarlo? Negli ultimi anni si è registrato un preoccupante aumento di episodi di violenza tra ragazze adolescenti. Quello che una volta sembrava un comportamento più comune tra maschi, oggi coinvolge sempre più giovani donne, protagoniste di liti che spesso degenerano in veri e propri atti di aggressione. A destare maggiore inquietudine è la brutalità di alcuni scontri: calci, pugni, capelli strappati, volti insanguinati, tutto sotto gli occhi di compagni che filmano e condividono invece di intervenire.
Ma cosa spinge una ragazza ad alzare le mani contro un’altra? La risposta è complessa e tocca diversi livelli: personale, sociale, culturale.
Molte di queste violenze nascono da motivi apparentemente banali gelosie, insulti, malintesi, discussioni sui social ma diventano esplosive in un contesto dove mancano modelli positivi, ascolto e strumenti per gestire le emozioni. La rabbia, la frustrazione o il bisogno di sentirsi forti si trasformano in aggressività. In certi casi, si arriva a una pericolosa ricerca di “rivincita”, che non si placa finché non si vede il sangue, quasi a voler dimostrare che si è disposte a tutto pur di non “perdere la faccia”.
La violenza non è mai una dimostrazione di forza, ma una spia di qualcosa che non funziona. Spesso chi agisce con aggressività nasconde insicurezze, sofferenze o difficoltà a comunicare. Reagire con la forza sembra l’unico modo per farsi rispettare, per non sembrare deboli, soprattutto in una società dove l’apparenza conta più del contenuto e dove, troppo spesso, chi alza la voce viene ascoltato più di chi cerca il dialogo.
A rendere tutto ancora più grave è la spettacolarizzazione della violenza: risse filmate con i cellulari, video diffusi online, commenti che incitano e alimentano l’odio. Invece di aiutare le vittime, si rende pubblica la loro umiliazione.
Il problema non può essere ignorato né risolto solo con punizioni. È fondamentale un intervento educativo profondo. Le scuole devono diventare luoghi di prevenzione, dove le ragazze imparano a riconoscere e gestire le proprie emozioni, a dialogare, a risolvere i conflitti in modo non violento. Anche il ruolo degli adulti è cruciale: genitori, insegnanti, educatori devono imparare ad ascoltare senza giudicare, a cogliere i segnali d’allarme, a essere punti di riferimento stabili. La violenza non si combatte solo condannandola, ma offrendo alternative concrete.
Smettere di usare la violenza non significa arrendersi. Al contrario, richiede coraggio. Il coraggio di affrontare un problema con le parole, di chiedere aiuto, di mettere fine a una spirale distruttiva. Perché il vero rispetto non si ottiene con la paura, ma con l’intelligenza emotiva, la comprensione e l’empatia. È tempo di smettere di glorificare la forza fisica come soluzione. È tempo di educare alla gentilezza, alla responsabilità e alla forza che nasce dal rispetto per sé stessi e per gli altri.