

Dalla Sicilia al Piemonte. Storia di un comandante partigiano è una pubblicazione del 2002 per i tipi Franco Angeli Editori, un libro autobiografico di Vincenzo Modica, mazarese, classe 1919, detto “Petralia” nome di battaglia nelle file partigiane. Dopo la chiamata alle armi era partito “volontario” durante la Seconda Guerra Mondiale e partigiano diventò dopo l’incontro con il tenente Pompeo Colajanni, nisseno di origine, quando entrambi vennero in contatto con gli ambienti antifascisti piemontesi. La storia di “Petralia” è quella di tanti altri partigiani come Tosca Giordani – staffetta partigiana, Carlo Landini, Ermenegildo Bugni, testimoni scomodi di una storia che si scontra contro chi sostiene che “in fondo Mussolini non era poi così male”. Hanno lottato per difendere la libertà e la giustizia, diritti scomparsi durante il ventennio fascista. I partigiani si organizzavano in formazioni clandestine, operando sulle montagne, nelle città e nelle campagne e su tutto il territorio italiano, conducendo azioni di sabotaggio, agguati e attacchi contro le forze occupanti naziste e contro i fascisti collaborazionisti. Essi furono la “resistenza” non soltanto armata e principalmente morale del popolo italiano contro l’occupazione straniera e contro il regime fascista. I partigiani italiani contribuirono in modo determinante alla liberazione del Paese, che avvenne tra l’ultima settimana di aprile e la prima di maggio. Fu la vittoria della democrazia sul totalitarismo e sull’oppressione. Ma, ahinoi, nonostante l’apologia del fascismo sia un reato previsto dall’art. 4 della legge Scelba (cfr. XII disposizione transitoria e finale della Costituzione), dopo la costituzione della Repubblica Italiana nel 1946, sono emerse nuove forme di estremismo e di autoritarismo di estrema Destra che minacciano i valori della democrazia e della libertà. Ideologie xenofobe, razziste e antidemocratiche, non sono mai state sopite dal buon senso e sono assai diffusi sul territorio italiano nuovi movimenti politici e sociali che puntano a esaltare il nazionalismo e l’intolleranza. Questi movimenti, che si nascondono dietro la comoda maschera del populismo, rappresentano una minaccia concreta per la pace e la stabilità della società. Il novello “fascismo” si presenta con proclami di odio e di violenza, di “sospetti” verso le minoranze e di disprezzo per i diritti umani proponendo una falsa democrazia. E come sempre, si insinua nella società attraverso la propaganda, la censura e la manipolazione dell’opinione pubblica, diffondendo il terrore e la paura tra la popolazione, facendo leva sull’ignoranza di coloro i quali, seppur figli della libera e democratica istituzione scolastica, preferiscono affidarsi ai maestri di eloquenza tanto altisonante quanto “vuota” di valori umani anziché alla STORIA “magistra vitae”. Sarò in piazza fino a quando avrò l’ultimo respiro perché so di essere dalla parte del giusto e che le mie idee sono condivise da tanti Tina Costa staffetta partigiana
Quannu la sira n’assittàvamu fora a lu friscu, o dintra davanti a lu focu, la nonna mi taliàva e mi dicìa accussì: Li piducchieḍḍi di Ciccu Ficara mìsiru mpignu pi fari na pira: cci nn’era unu di setti “cantàra” chi cu la cuda scutulava pira! Caucia e punci lu sceccu assicuta la mula e ‘n cursa si l’acchianava li timpuna e talì fu lu zi’ Vituni chi pi sbagghiu misi lu vinu nna lu sali e lu sali nna lu vinu! Li me parenti tantu ristrinceru ch’accattaru un tumazzeḍḍu tantu caru, nna la cascia lu mittèru cridènnusi chi bonu lu sarbaru. Li surci chissu stissu lu caperu… scinneru cu li stigghi e lu scassaru… di ḍḍu tumazzeḍḍu nenti nni lassaru!!!! Mischina di mia lu attu ‘un m’avìa cadutu malatu chi li surci m’avìanu patrunijatu!!! 0:00 / 0:00 Li piducchieḍḍi …
La ricorrenza di oggi, diciamolo senza veli, è ormai parecchio démodée. Se può avere avuto decenni addietro una valenza socio-politica, l’ha avuta perché contestualizzata agli anni in cui è stata ufficializzata. Samanta Cristoforetti, Tina Anselmi, Ursula von der Leyen, Kamala Harris, Sheikh Hasina Wazed, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Angela Merkel, Nilde Jotti, Sanna Mirella Marin, Elisabetta II, Jacinda Arden, Rose Christiane Ossouka Raponda, Hillary Clinton (segue un lungo elenco) sembrano rappresentare “13 buone ragioni” per ritenere superata la necessità di una “riflessione” internazionale sulla questione “parità di genere”. Non si starà qui a elencare le tappe storiche che hanno condotto l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a proporre a ogni Paese di dichiarare un giorno all’anno «Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale» (United Nations Day for Women’s Rights and International Peace) confluito poi nella scelta dell’8 Marzo, ma si intende qui invitare a riflettere seriamente su quanto sia diventato quasi fuorviante sostenere con ogni mezzo tale giornata celebrativa. Per tale ricorrenza si rimanda al concetto di emancipazione dove l’azione e l’effetto dell’emancipare, (intesi come “liberazione” – ex mancipium) si realizzano quando “l’oggetto” da emancipare diventa “normalità” e, per questa caratteristica, smette di essere oggetto di riflessione. In questo caso l’oggetto è la parità di genere e il processo di emancipazione è così lento che siamo assai lontani “dal non parlarne più” perché non è ancora diventato una normalità. Ma quando se ne intenda parlare… lo si faccia con il coraggio di abbandonare gli stereotipi così bene metabolizzati da risultare nauseabondi. Personalmente non ritengo più utile continuare “a riflettere” sull’importanza di amare le donne anziché escluderle, di valorizzarle anziché opprimerle, di porgere loro mimose per la vita, ecc. ma bisognerebbe, invece, riflettere sul concetto di DONNA COME PROPRIETA’ maschile che sta caratterizzando il mondo in questo ultimo secolo ancor più che nei precedenti. Non è affatto necessario chiedere agli uomini, con slogan continui, la concessione del loro rispetto, del loro “amore” o della loro “protezione”. Di queste “concessioni” le donne non sanno che farsene poiché il rispetto è un DIRITTO NATURALE di ogni essere vivente. Se gli uomini in guerra si uccidono, le donne vengono uccise come gli uomini… però prima vengono stuprate e quindi umiliate e mortificate e di conseguenza private anche della “normale” morte a cui vanno incontro, ahimè, gli uomini in guerra! Se i maschi sono violenti con le donne è solo perché sono semplicemente DISUMANI e niente di più! Sarebbe allora facile poter instituire la giornata internazionale della disumanità maschile! Ma i femminicidi sono solo la manifestazione più estrema di una cultura ancestrale che non si vuole risolvere né superare perché profondamente comoda al mondo maschile. Sarebbe forse più credibile l’8 Marzo se venisse celebrato SOLO dagli uomini perché di sfilare in cortei o blaterare ai microfoni le donne non ne hanno beneficio alcuno. E all’affermazione: “anche gli uomini subiscono violenze dalle donne”, tanto ridicola quanto patetica, gli uomini di buon senso scelgano di tacere!



